IL CONSIGLIO DI STATO 
              in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
iscritto al numero di registro generale 6490 del  2020,  proposto  da
Consorzio Leonardo Servizi e Lavori "Societa' Cooperativa  Consortile
Stabile" in proprio e quale capogruppo mandataria di costituendo Rti,
in persona del legale rappresentante pro tempore, nonche' PH Facility
s.r.l., in proprio  e  quale  mandante  del  medesimo  raggruppamento
costituendo,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Vittoria Ferroni, Eugenio
Picozza e Marco Orlando, con domicilio eletto  presso  lo  studio  di
quest'ultimo in Roma, via Sistina, 48; 
    contro Consip s.p.a., in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato,
presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, e' elettivamente
domiciliata; 
    nei  confronti  Gemmo  s.p.a.,  Nagest  Global  Service   s.r.l.,
Pulitori e Affini s.p.a., Consorzio Servizi Globali Centro Nord  Est,
Dussmann  Service  s.r.l.,  Siram  s.p.a.,  Engie   Servizi   s.p.a.,
Consorzio  Stabile  Energie  Locali,  Co.L.Ser  Servizi   s.c.a.r.l.,
Consorzio  Nazionale  Cooperativa  Pluriservizi,  Consorzio   Stabile
G.I.S.A. ed Elba Assicurazioni  s.p.a.,  in  persona  dei  rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; 
    per  la  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 4315/2020,  resa  tra  le
parti. 
    Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Consip s.p.a.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo  2021,  tenuta
da remoto ai sensi  dell'art.  25  d.l.  28  ottobre  2020,  n.  137,
convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176,  il
Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti  gli  avvocati  Picozza  e
Ferroni; 
 
                           Fatto e diritto 
 
    Con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea
n. S-58 del 22 marzo 2014 e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana n.  33  del  21  marzo  2014,  Consip  s.p.a.  indiceva  una
procedura aperta di  gara  articolata  complessivamente  in  diciotto
lotti  geografici,  di   cui   quattordici   "ordinari"   e   quattro
"accessori", avente ad oggetto "l'affidamento di  servizi  integrati,
gestionali  ed  operativi,  da  eseguirsi  negli  immobili,   adibiti
prevalentemente ad uso  ufficio,  in  uso  a  qualsiasi  titolo  alle
Pubbliche Amministrazioni, nonche' negli immobili in uso a  qualsiasi
titolo alle Istituzioni  Universitarie  Pubbliche  ed  agli  Enti  ed
Istituti di Ricerca - ID 1299' (c.d. Facility Management 4 o FM4). 
    Criterio  di  aggiudicazione  previsto  era  quello  dell'offerta
economicamente piu' vantaggiosa, con l'attribuzione di un massimo  di
60 punti per l'offerta tecnica e di un massimo di 40 punti per quella
economica. 
    Il Rti facente capo al Consorzio Leonardo concorreva per i  lotti
1, 6, 7 e  10,  classificandosi  al  primo  posto  della  graduatoria
relativa al lotto 6. 
    All'esito della conseguente verifica del possesso  dei  requisiti
da parte del concorrente, pero',  Consip  s.p.a.  si  determinava  ad
adottare, in data 21 marzo 2019, un provvedimento di esclusione dalla
gara relativamente a tutti lotti per i quali il detto  raggruppamento
aveva presentato offerte, in attuazione del combinato disposto  degli
artt. 49, comma 2, lett. c) e 38, comma primo, lett. g),  del  d.lgs.
12 aprile 2006, n. 163, applicabili ratione temporis. 
    Tale  conclusione  era  dovuta  al  riscontro  di  una  serie  di
irregolarita'  fiscali  a  carico  della  societa'  Iprams  s.r.l.  -
originaria impresa esecutrice del Consorzio Leonardo - e della  Comal
Impianti s.r.l., ausiliaria della mandante SOF s.p.a. 
    Con  il  medesimo  provvedimento,   Consip   disponeva   altresi'
l'escussione   della   cauzione   provvisoria   prestata    per    la
partecipazione al lotto 6. 
    Il provvedimento  di  esclusione  veniva  fatto  oggetto  di  due
distinte impugnazioni da parte del Rti Consorzio Leonardo: 
        - con il ricorso iscritto  al  r.g.  n.  4217  del  2019  del
Tribunale amministrativo del Lazio, veniva gravata  l'esclusione  dal
lotto  6,   unitamente   all'escussione   della   relativa   cauzione
provvisoria ed alla conseguente segnalazione all'Anac; 
        - con il  ricorso  iscritto  al  r.g.n.  4996  del  2019  del
medesimo   Tribunale   veniva   invece    domandato    l'annullamento
dell'esclusione relativamente ai lotti 1, 7 e 10, non aggiudicati  al
raggruppamento. 
    La causa iscritta a r.g.n. 4217  del  2019  veniva  definita  con
sentenza n. 9854 del 23 luglio 2019, con la quale il  ricorso  veniva
in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile. 
    A sua volta, la causa iscritta a  r.g.n.  4996  del  2019  veniva
definita con la sentenza n. 12329 del 25 ottobre 2019,  che  altresi'
in parte respingeva il ricorso, in parte lo dichiarava improcedibile. 
    Dopo il passaggio in decisione del secondo  ricorso  -  relativo,
come gia' detto, ai lotti 1, 7 e 10 - ma  prima  del  deposito  della
relativa sentenza, Consip s.p.a. adottava un ulteriore provvedimento,
con il quale disponeva l'escussione della cauzione provvisoria  anche
relativamente ai lotti 1, 7 e 10, precisando tuttavia che  "l'obbligo
di pagamento degli importi sopra indicati  e'  da  ritenersi  sospeso
sino alla definizione del giudizio pendente dinanzi al TAR Lazio  con
numero di R. G. 4996/2019". 
    Avverso tale nuovo provvedimento,  il  Consorzio  Leonardo  e  PH
Facility s.r.l. proponevano  un  ulteriore  ed  autonomo  ricorso  al
Tribunale amministrativo del Lazio, articolando le seguenti censure: 
        A) In relazione al comportamento di Consip: 
I) La  stazione  appaltante  avrebbe  illegittimamente  integrato,  a
distanza di sei mesi il provvedimento di esclusione dai lotti 1, 7  e
10,  disponendo  l'escussione  della  cauzione  provvisoria.  Il  Rti
Consorzio   Leonardo   aveva   pero'   impostato   le   sue    scelte
imprenditoriali e difensive proprio sul  presupposto  che,  per  quei
lotti, in cui non risultava aggiudicatario, la cauzione  non  sarebbe
stata escussa.  Per  questa  ragione  avrebbe  proposto  un  autonomo
ricorso per i lotti 1, 7 e 10 -  distinto  rispetto  all'impugnazione
relativa al lotto 6 -  e  non  avrebbe  formulato  in  quel  giudizio
domanda di sospensione cautelare. 
    Con  il  proprio  comportamento,  Consip  avrebbe  pertanto  leso
l'affidamento ingenerato nel concorrente in ordine al  fatto  che  la
cauzione provvisoria mai sarebbe stata escussa. 
    La determinazione di escussione della cauzione anche per i  lotti
1, 7 e 10 sarebbe dunque  venuta  ad  integrare  la  motivazione  del
provvedimento di esclusione senza tuttavia  preventivamente  disporne
l'annullamento, come sarebbe  stato  necessario  e,  comunque,  senza
rispettare i presupposti di  legge  prescritti  per  l'esercizio  del
potere di autotutela. 
II) Il comportamento di Consip avrebbe altresi' violato, in danno del
Rti ricorrente, il principio del contradditorio, della parita'  delle
armi e del giusto processo: adottando il provvedimento di  escussione
della cauzione per i lotti 1, 7  e  10  solo  dopo  il  passaggio  in
decisione del ricorso contro il  provvedimento  di  esclusione  dalla
gara, si sarebbe infatti precluso al Rti ricorrente  di  limitarsi  a
presentare  motivi  aggiunti  nel  predetto  giudizio  (nonche'   una
apposita domanda cautelare), costringendolo ad una nuova (ed onerosa)
vertenza giudiziaria. 
III. Poiche' la procedura di gara si era protratta, complessivamente,
per  circa  cinque  anni,  nelle  more  l'amministrazione  era  stata
costretta a consentire il protrarsi dell'esecuzione  in  proroga  dei
contratti aggiudicati nell'ambito  della  precedente  gara  FM3  -  a
prezzi risultati piu' alti rispetto a quelli ottenuti in  esito  alla
procedura FM4 - con conseguente danno erariale, sub specie  di  danno
alla concorrenza. 
    In questo quadro, Consip s.p.a. avrebbe dapprima sospeso la  gara
FM4,  motivando  tale  decisione  con   riferimento   alle   indagini
dell'autorita' giudiziaria e dell'autorita' garante della concorrenza
a del mercato, salvo poi ad un certo punto decidere di riprendere  le
operazioni prima della definizione dei medesimi procedimenti. 
    In ogni caso, per l'ipotesi in cui il provvedimento di escussione
della cauzione avesse  dovuto  ritenersi  legittimo,  Consip  sarebbe
stata comunque tenuta a rispondere nei confronti del raggruppamento a
titolo di responsabilita' precontrattuale. 
        B) Vizi del provvedimento impugnato. 
IV) L'escussione della cauzione provvisoria non avrebbe potuto essere
disposta  nei  confronti  del  Rti  appellante  in   relazione   alla
partecipazione ai lotti 1, 7 e 10, in quanto: 
    (i) in forza della previsione dell'articolo 38,  comma  1,  lett.
g), del d.lgs. n. 163 del 2006, la carenza dei  requisiti  di  ordine
generale   comporterebbe   bensi'   l'esclusione   dalla   gara,   ma
consentirebbe l'escussione della  cauzione  solo  nei  confronti  del
concorrente primo graduato, atteso  che  l'escussione  nei  confronti
degli altri concorrenti  sarebbe  consentita  soltanto  ove  prevista
dalla lex specialis di gara, secondo  quanto  chiarito  dall'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato con  la  sentenza  n.  34  del  2014;
siffatta previsione non sarebbe tuttavia riscontrabile  nel  caso  in
esame; 
    (ii)  anche  volendo  ricondurre  l'escussione   della   cauzione
provvisoria alla fattispecie disciplinata dall'art. 48 del d.lgs.  n.
163 del 2006, la dimostrazione dei requisiti ai sensi della  predetta
norma sarebbe stata avviata da Consip soltanto per il lotto 6 (ove il
Rti Consorzio Leonardo era primo graduato) e per il lotto 10 (ove  il
medesimo Rti era risultato provvisoriamente primo graduato a  seguito
dell'esclusione  del  concorrente  che  aveva  ottenuto  il   maggior
punteggio,  poi  tuttavia  riammesso  a   seguito   dell'annullamento
dell'esclusione in sede giurisdizionale). 
    Una tale verifica  non  sarebbe  stata  invece  mai  disposta  in
relazione alla partecipazione ai lotti  1  e  7,  in  quanto  il  Rti
ricorrente non era  risultato  ne'  aggiudicatario  provvisorio,  ne'
secondo  graduato,  per  cui  in  relazione  a  questi  ultimi  lotti
l'escussione della cauzione sarebbe stata  adottata  in  carenza  dei
presupposti. 
    In definitiva, per i lotti l  e  7  l'escussione  della  cauzione
sarebbe stata priva di base giuridica, mentre  per  il  lotto  10  la
dedotta illegittimita' della stessa sarebbe derivata dalla tardivita'
della richiesta, che avrebbe leso l'affidamento del concorrente. 
    Sotto altro profilo,  la  ricorrente  deduceva  che  l'escussione
della cauzione provvisoria avrebbe anche natura sanzionatoria, ragion
per cui l'art. 93,  comma  6,  del  d.lgs.  18  aprile  2016,  n.  50
correttamente ne circoscriverebbe l'operativita' alla sola ipotesi di
mancata sottoscrizione del contratto  da  parte  dell'aggiudicatario,
escludendo per contro gli altri partecipanti alla gara. 
    Tale  disposizione,  seppur  in  presenza  di  una  gara  bandita
antecedentemente alla sua  entrata  in  vigore,  avrebbe  purtuttavia
dovuto essere applicata da Consip anche nel caso di specie, in  forza
del  principio  di  retroattivita'  della  legge   piu'   favorevole.
Diversamente argomentando, avrebbe  dovuto  sollevarsi  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 93, comma 6, del d.lgs.  n.
50 del 2016, in relazione agli artt. 3 e 117,  primo  comma  Cost.  e
dell'art. 7 della CEDU, nei termini in cui  detta  norma  consentisse
l'applicazione  di  previsioni  preesistenti  piu'   afflittive   nei
riguardi dei partecipanti alla gara. 
V) La richiesta di  escussione  della  cauzione  provvisoria  del  25
settembre 2019 contraddirebbe inoltre il precedente provvedimento  di
esclusione  dalla  gara  del  21  marzo  2019:  dalla   lettura   di'
quest'ultimo non emergerebbe infatti  alcun  elemento  idoneo  a  far
supporre che Consip si fosse riservata di escutere successivamente la
cauzione anche per i lotti 1, 7 e 10. 
    Al contrario, ad  avviso  della  ricorrente,  tale  provvedimento
avrebbe - sia  pure  implicitamente  -  (auto)vincolato  la  stazione
appaltante ad escutere la cauzione solo per il  lotto  6,  salvo  poi
venire contra factum proprium senza pero'  preventivamente  agire  in
autotutela. 
    Non sarebbe pertinente, inoltre, il richiamo - operato da  Consip
- al termine di sei mesi  per  l'escussione  della  fideiussione,  ai
sensi dell'articolo 1957 Cod. civ., poiche' tale norma avrebbe dovuto
essere letta alla  luce  della  disciplina  pubblicistica,  la  quale
richiederebbe    l'escussione    della    cauzione    contestualmente
all'esclusione. 
    L'escussione della cauzione  sarebbe  stata  inoltre  ricollegata
dalla lex specialis di  gara  unicamente  all'ipotesi  della  mancata
sottoscrizione del contratto per fatto  del  concorrente,  situazione
verificatasi solo in relazione al lotto 6 e non anche per i lotti  1,
7 e 10. 
    In ogni caso, anche a voler tener conto del termine  decadenziale
di sei mesi stabilito dall'articolo 1957 Cod. civ., la  richiesta  di
escussione della cauzione sarebbe  stata  comunque  tardiva,  dovendo
detto  termine  essere  computato  con  decorrenza  dalla  data   del
provvedimento di escussione (21 marzo 2019), dunque gia'  scaduto  al
momento della richiesta di escussione (25 settembre 2019). 
    Il Rti ricorrente proponeva inoltre una domanda  di  risarcimento
del danno a titolo di responsabilita' precontrattuale per il caso  in
cui  il  provvedimento  di  escussione  della  cauzione  fosse  stato
ritenuto comunque legittimo. 
    Costituitasi  in  giudizio,  Consip  s.p.a.,  concludeva  per  il
rigetto del ricorso, in quanto infondato. 
    Si costituiva inoltre la societa' Gemma s.p.a., con atto di  mera
forma. 
    Con sentenza 28 aprile 2020, n. 4315, il giudice adito respingeva
il ricorso, ritenendolo infondato. 
    Avverso  la  detta  pronuncia,  il  Consorzio  Leonardo   Servizi
interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione: 
        1) Error in iudicando. Difetto di giurisdizione  del  giudice
ordinario. Violazione di legge. Violazione dell'art.  133,  comma  1,
lettera e) n. 1 c.p.a. 
        1.2) Error in iudicando.  Contraddittorieta'  ed  illogicita'
della motivazione; sproporzionalita'; eccesso di potere;  ingiustizia
manifesta. Omessa pronuncia. Eccesso di potere per contraddittorieta'
con  un  precedente  provvedimento.  Errore  nei  fatti.  Difetto  di
motivazione. Violazione dell'art.  3  1.  n.  241/1990.  Difetto  nei
presupposti, arbitrarieta', illogicita'. Violazione dell'art. 48  del
d.lgs. n.  163/2006.  Violazione  del  principio  di  autolimitazione
dell'amministrazione.    Violazione    della     ragionevolezza     e
proporzionalita'  dell'azione  amministrativa.  Violazione  dell'art.
1957 Cod. civ. 
        2) Illegittimita' della sentenza per error in iudicando. 
        2.1) Error in iudicando per  omessa  pronuncia  -  Violazione
degli artt. 38, 48. 49 e 75 del d.lgs.  n.  163/2006  -  Difetto  dei
presupposti  di  legge.  Violazione  dell'obbligo  di  motivazione  -
Eccesso di potere per  contraddittorieta',  manifesta  illogicita'  e
travisamento dei fatti. 
        3) Error  in  iudicando.  Contraddittorieta'  ed  illogicita'
della motivazione; sproporzionalita'; eccesso di potere;  ingiustizia
manifesta. 
        3.1) Violazione  del  principio  del  contraddittorio,  della
parita'  delle  armi,  del  giusto   processo   e   di   economicita'
processuale. Violazione  dei  principi  di  buona  fede  e  legittimo
affidamento.  Violazione  del  principio   di   autolimitazione,   di
ragionevolezza e proporzionalita' dell'azione amministrativa. 
        4) Error  in  iudicando.  Contraddittorieta'  ed  illogicita'
della motivazione; sproporzionalita'; eccesso di potere;  ingiustizia
manifesta. 
        4.1)  Abuso  di  diritto.  Violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 2 del d  lgs.  n.  163/2006.  Violazione  dei  principi  di
concentrazione e continuita' delle  operazioni  di  gara.  Violazione
degli artt. 1 e 2  della  legge  n.  241  del  1990.  Violazione  del
principio di correttezza e buona fede,  della  leale  e  responsabile
collaborazione e di buon andamento dell'azione amministrativa. 
        5) Illegittimita' della sentenza per error in iudicando. 
        5.1) Violazione del principio  del  legittimo  affidamento  e
della buona fede, di imparzialita' e buon andamento.  Violazione  del
principio di autolimitazione dell'amministrazione.  Omessa  pronuncia
sulla  violazione   dell'art.   48   del   d.lgs.   n.   163/2006   -
Contraddittorieta'  manifesta  con  altra  parte  della  sentenza   -
Violazione  della  ragionevolezza  e   proporzionalita'   dell'azione
amministrativa. 
        6) Illegittimita' della sentenza per error in iudicando. 
        6.1) Violazione di legge - Violazione  degli  artt.  3  e  97
Cost. - Violazione dell'obbligo di motivazione - Violazione dell'art.
21 nonies della legge n. 241/1990 - Violazione  degli  artt.  1  e  3
della legge n. 241/1990 -  Eccesso  d  potere  per  travisamento  dei
fatti. 
        7) Illegittimita' della sentenza per error in iudicando. 
        7.1) Error  in  iudicando  per  apoditticita'  e  carenza  di
motivazione - Violazione dell'art. 93 comma 6 del d.lgs.  n.  50  del
2016 in relazione all'ara  117,  co.  1  Cost.  e  all'art.  7  Cedu,
Violazione dell'art. 3 Cost.  -  Violazione  dell'art.  49  Carta  ei
diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 11 Cost.  Omessa
applicazione del principio della lex mitior in relazione all'art.  93
comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016. 
        7.2) In subordine, questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 93 comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016 per  violazione  degli
artt. 3 e 117 primo comma della Costituzione  in  combinato  disposto
con l'art. 7 Cedu. 
    Costituitasi  in   giudizio,   Consip   s.p.a.   concludeva   per
l'infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto. Contestava,
in particolar modo, la  dedotta  natura  di  sanzione  amministrativa
dell'escussione della cauzione provvisoria anche ai  concorrenti  non
aggiudicatari, presupposto indefettibile per  potersi  applicare,  al
caso in esame,  il  principio  di  retroattivita'  della  lex  mitior
(ossia, nella specie, l'art. 93 comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016). 
    Nell'imminenza  dell'udienza  di  trattazione  le   parti   hanno
depositato memorie illustrative delle proprie tesi difensive ed hanno
replicato a quelle avversarie.  All'udienza  dell'1l  marzo  2021  la
causa e' stata riservata per la decisione. 
    Il  Collegio,  a  fronte  delle  risultanze  di  causa,   ritiene
sussistere i presupposti di rilevanza e  non  manifesta  infondatezza
per rimettere alla Corte costituzionale la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 93, comma 6 (Garanzie per la  partecipazione
alla procedura), nel combinato disposto con l'art. 216  (Disposizioni
transitorie e di coordinamento) del d.lgs.  18  aprile  2016,  n.  50
(Codice dei contratti pubblici) per contrasto con gli artt. 3  e  117
comma primo (quest'ultimo in relazione all'art.  49,  par.  1,  della
Carta   dei   diritti   fondamentali   dell'Unione   europea)   della
Costituzione. 
    In  base  all'art.  93,  comma  6  citato,   la   cd.   "garanzia
provvisoria" prestata dagli operatori economici  che  partecipino  ad
una gara "[...] copre la mancata sottoscrizione  del  contratto  dopo
l'aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all'affidatario o
all'adozione di informazione antimafia interdittivi emessa  ai  sensi
degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.
159; la garanzia  e'  svincolata  automaticamente  al  momento  della
sottoscrizione del contratto". Tale garanzia viene  obbligatoriamente
posta a corredo dell'offerta e - come precisa il  primo  comma  della
medesima disposizione - e' "pari al  2  per  cento  del  prezzo  base
indicato nel bando o  nell'invito,  sotto  forma  di  cauzione  o  di
fideiussione". 
    La norma e' dunque chiara nel circoscrivere la possibilita',  per
la stazione appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti
dell'aggiudicatario (recte, "affidatario"), nei  casi  specifici  ivi
contemplati. 
    Ai sensi dell'art. 216  del  medesimo  d.lgs.  n.  50  del  2016,
peraltro,  le  disposizioni  contemplate  nel  vigente   Codice   dei
contratti pubblici si applicano "alle procedure e ai contratti per  i
quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di  scelta  del
contraente siano  pubblicati  successivamente  alla  data  della  sua
entrata in vigore nonche', in caso di contratti  senza  pubblicazione
di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in  relazione  ai
quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non  siano
ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte". 
    Non consta al Collegio che nel predetto corpo  normativo  vi  sia
una disposizione espressa che, in particolare, estenda l'applicazione
della disciplina di cui al comma sesto dell'art. 93 cit.  anche  alle
procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati si  pubblicati  in
epoca antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma
relativamente alle quali  l'amministrazione  si  sia  determinata  ad
escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla  gara  non
aggiudicatario in un momento successivo all'entrata in  vigore  dello
stesso. 
    Nel caso di specie, come gia' anticipato, la  procedura  di  gara
era soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163,
in particolare - per quanto riguarda la questione qui  controversa  -
agli artt. 48 e 75. 
    Ai sensi della prima norma (comma primo), "Le stazioni appaltanti
prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate,
richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al  10  per  cento
delle offerte presentate, arrotondato  all'unita'  superiore,  scelti
con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla  data
della richiesta medesima, il  possesso  dei  requisiti  di  capacita'
economico   finanziaria   e   tecnico-organizzativa,    eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la  documentazione  indicata
in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti,  in
sede  di  controllo,  verificano  il  possesso   del   requisito   di
qualificazione  per  eseguire   lavori   attraverso   il   casellario
informatico di cui all'articolo 7, comma  10,  ovvero  attraverso  il
sito del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  per  i
contratti affidati a contraente generale; per i  fornitori  e  per  i
prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito  di  cui
all'articolo  42,  comma  1,  lettera  a),  del  presente  codice  e'
effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici  di
cui all'articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia
fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda
di partecipazione o nell'offerta, le  stazioni  appaltanti  procedono
all'esclusione  del  concorrente  dalla  gara,  all'escussione  della
relativa  cauzione  provvisoria  e  alla   segnalazione   del   fatto
all'Autorita' per i provvedimenti di cui  all'articolo  6  comma  11.
L'Autorita' dispone altresi' la sospensione da uno dodici mesi  dalla
partecipazione alle procedure di affidamento". 
    A sua volta l'art. 75 al comma primo prevede  che  "L'offerta  e'
corredata da una garanzia, pari al due  per  cento  del  prezzo  base
indicato nel bando o  nell'invito,  sotto  forma  di  cauzione  o  di
fideiussione, a scelta dell'offerente [...]", di seguito  precisando,
al comma 6, che "La garanzia  copre  la  mancata  sottoscrizione  del
contratto   per   fatto   dell'affidatario,    ed    e'    svincolata
automaticamente  al  momento  della  sottoscrizione   del   contratto
medesimo". 
    La prima disposizione (art. 48) si riferisce  all'ipotesi  di  un
controllo a campione  che  abbia  sortito  esito  negativo  circa  il
possesso  dei  requisiti   di   capacita'   economico-finanziaria   e
tecnico-organizzativa   (ossia   dei   c.d.   "requisiti   speciali")
dichiarati dal concorrente all'atto dell'offerta. 
    La seconda previsione (art.  75)  concerne  invece  il  caso  del
contratto che non venga sottoscritto per fatto dell'aggiudicatario. 
    Come esposto in precedenza, dopo aver escluso  il  raggruppamento
facente capo al Consorzio Leonardo Servizi e Lavori da una  gara  per
l'affidamento di servizi integrati, gestionali ed  operativi,  Consip
s.p.a. provvedeva altresi' ad escutere  la  cauzione  provvisoria  da
questi prestata non solo per l'unico Lotto (il n.  6)  nel  quale  il
detto operatore economico era risultato primo in graduatoria e quindi
aggiudicatario, ma anche - in un secondo momento - per  tutti  quelli
per i quali le stesso aveva presentato un'offerta (ossia i Lotti 1, 7
e 10), nonostante il detto Rti non fosse risultato,  in  relazione  a
questi  ultimi,  ne'  aggiudicatario  ne'  -  in  ipotesi  -  secondo
graduato. Cio' in pacifica applicazione dell'art. 48  d.lgs.  n.  163
del 2006, che non distingue a tal fine tra aggiudicatari  e  semplici
partecipanti alla gara come invece fa il sopravvenuto art. 93,  comma
6 del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    Ritiene il Collegio, alla luce  delle  risultanze  di  causa,  di
dover  confermare  la  natura   anche   sanzionatoria   dell'istituto
dell'escussione della garanzia provvisoria, per come disciplinato dal
d.lgs.  n.  163  del  2006,   applicabile   alla   concreta   vicenda
controversa, in coerenza con i propri precedenti  arresti  dai  quali
non vi e' evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie. 
    Va in primo luogo richiamata la decisione dell'Adunanza  plenaria
4 ottobre 2005,  n.  8  di  questo  Consiglio,  che  ha  tra  l'altro
affermato che la  cauzione  provvisoria,  oltre  ad  indennizzare  la
stazione  appaltante  dall'eventuale   mancata   sottoscrizione   del
contratto da parte dell'aggiudicatario (funzione indennitaria),  puo'
svolgere altresi' una funzione sanzionatoria  verso  altri  possibili
inadempimenti contrattuali dei concorrenti. 
    La successiva decisione 10 dicembre  2014,  n.  34  dell'Adunanza
plenaria faceva  salvo  tale  presupposto,  nel  dichiarare  che  "E'
legittima la clausola, contenuta in atti di indizione di procedure di
affidamento di  appalti  pubblici,  che  preveda  l'escussione  della
cauzione provvisoria anche nei confronti  di  imprese  non  risultate
aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di  riscontrata  assenza
del possesso dei requisiti di carattere generale di cui  all'art.  38
del codice dei contratti pubblici". 
    In termini piu' generali (ex multis, Cons. Stato,  V,  27  giugno
2017, n. 3701; V, 19 aprile 2017, n. 1818; IV, 19 novembre  2015,  n.
5280; IV, 9 giugno 2015, n. 2829; V, 10  settembre  2012,  n.  4778),
l'incameramento della cauzione va considerata una misura a  carattere
latamente  sanzionatorio,  che  costituisce   conseguenza   ex   lege
dell'esclusione per riscontrato difetto dei requisiti  da  dichiarare
ai sensi dell'art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006. 
    Sempre secondo Cons. Stato, Ad. plen. n. 34 del 2014, la cauzione
provvisoria,   oltre   ad   indennizzare   la   stazione   appaltante
dall'eventuale  mancata  sottoscrizione  del   contratto   da   parte
dell'aggiudicatario (funzione indennitaria, ipotesi che nel  caso  di
specie non rileva), svolge altresi' una funzione sanzionatoria  verso
altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti. 
    L'escussione della cauzione provvisoria assumerebbe quindi  anche
la funzione di una sanzione  amministrativa,  seppure  non  in  senso
proprio. 
    Tale conclusione e' stata poi ribadita  da  Cons.  Stato,  V,  10
aprile 2018, n. 2181, "in considerazione della natura sanzionatoria e
afflittivi  della  determinazione  relativa  all'incameramento  della
cauzione". 
    Come ancora di recente evidenziato da Corte Cost. 21 marzo  2019,
n. 63, il principio della retroattivita' della lex mitior in "materia
penale" e' fondato tanto sull'art. 3  Cost.,  quanto  sull'art.  117,
primo comma,  Cost.,  eventuali  deroghe  a  tale  principio  dovendo
superare un vaglio  positivo  di  ragionevolezza  in  relazione  alla
necessita' di tutelare contro interessi di rango costituzionale. 
    Il principio in questione deve ritenersi applicabile  anche  alle
sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura "punitiva". 
    Secondo la costante  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale
(sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del 2008 e n.  393  del  2006),  la
regola della retroattivita' della lex mitior in materia penale non e'
riconducibile alla sfera  di  tutela  dell'art.  25,  secondo  comma,
Cost.,  che  sancisce  piuttosto  il   principio   -   apparentemente
antinomico - secondo cui "[n]essuno puo'  essere  punito  se  non  in
forza di una  legge  che  sia  entrata  in  vigore  prima  del  fatto
commesso". 
    Tale principio deve, invero, essere  interpretato  nel  senso  di
vietare  l'applicazione  retroattiva  delle  sole  leggi  penali  che
stabiliscano  nuove   incriminazioni,   ovvero   che   aggravino   il
trattamento sanzionatorio gia' previsto per  un  reato,  non  ostando
cosi'  a  una  possibile  applicazione  retroattiva  di  leggi   che,
all'opposto, aboliscano precedenti incriminazioni ovvero attenuino il
trattamento sanzionatorio gia' previsto per un reato. 
    Cionondimeno, la regola dell'applicazione retroattiva  della  lex
mitior in materia - penale  -  sancita,  a  livello  di  legislazione
ordinaria, dall'art. 2, secondo, terzo e  quarto  comma,  del  Codice
penale - non e' sprovvista di fondamento  costituzionale:  fondamento
che la costante giurisprudenza  della  Corte  ravvisa  anzitutto  nel
principio di eguaglianza di cui all'art. 3  Cost.,  "che  impone,  in
linea di massima, di  equiparare  il  trattamento  sanzionatorio  dei
medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano  stati
commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che ha disposto
l'abolitio criminis o la modifica mitigatrice" (sentenza n.  394  del
2006). Cio' in quanto, in via generale,  "[n]on  sarebbe  ragionevole
punire (o continuare a punire piu' gravemente)  una  persona  per  un
fatto  che,  secondo  la  legge  posteriore,  chiunque   altro   puo'
impunemente commettere (o per il  quale  e'  revista  una  pena  piu'
lieve)" (sentenza n. 236 del 2011). 
    La riconduzione della retroattivita' della lex mitior in  materia
penale all'alveo dell'art. 3 Cost. anziche' a  quello  dell'art.  25,
secondo comma, Cost., segna pero'  anche  il  limite  della  garanzia
costituzionale  della  quale  la   regola   in   parola   costituisce
espressione. Mentre, infatti, l'irretroattivita' in peius della legge
penale costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola della
retroattivita' in mitius della delle disposizioni  sanzionatorie  "e'
suscettibile  di  limitazioni   e   deroghe   legittime   sul   piano
costituzionale,  ove  sorrette  da   giustificazioni   oggettivamente
ragionevoli" (sentenza n. 236 del 2011). 
    Il  criterio  di  valutazione  della  legittimita'  di  eventuali
deroghe legislative alla retroattivita' della lex mitior  in  materia
sanzionatoria,  alla  stregua  dell'art.  3  Cost.,   e'   stato   in
particolare analizzato dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.
393 del 2006, ove si osserva, tra l'altro, che "la retroattivita'  in
mitius della legge penale e' ormai .affermata non solo, a livello  di
legislazione  ordinaria,  dall'art.  2  cod.  pen.,  ma  trova   ampi
riconoscimenti nel diritto internazionale e nel  diritto  dell'Unione
europea. La retroattivita' della lex mitior in materia penale  e'  in
particolare enunciata tanto dall'art. 15, comma 1, terzo periodo, del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,  concluso
a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge
25 ottobre 1977, n. 881; quanto  dall'art.  49,  paragrafo  1,  terzo
periodo, CDFUE". 
    Ne consegue che il valore tutelato dal principio in parola  "puo'
essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi
di  analogo  rilievo,  con  la  conseguenza  che  lo   scrutinio   di
costituzionalita' ex art. 3 Cost.,  sulla  scelta  di  derogare  alla
retroattivita' di una norma piu' favorevole deve superare  un  vaglio
positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la
norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole  (sentenza  n.
393 del 2006). 
    La  giurisprudenza  costituzionale  e'  giunta  ad  assegnare  al
principio della retroattivita' della lex mitior in  "materia  penale"
un duplice, e concorrente, fondamento: da un lato,  il  principio  di
eguaglianza di cui all'art.  3  Cost.,  nel  cui  alveo  peraltro  la
sentenza n. 393 del 2006, in  epoca  immediatamente  precedente  alle
sentenze "gemelle" n. 348  e  n.  349  del  2007,  aveva  gia'  fatto
confluire gli obblighi internazionali derivanti dall'art.  15,  comma
1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e  politici  e
dall'art. 49, paragrafo 1, CDFUE, considerati in quell'occasione come
criteri  interpretativi  (sentenza  n.  15  del  1996)  delle  stessi
garanzie   costituzionali;   dall'altro   quello   -    di    origine
internazionale,  ma  avente  ora  ingresso  nel  nostro   ordinamento
attraverso l' art. 117, primo comma, Cost. - riconducibile all'art. 7
CEDU, nella lettura offertane  dalla  giurisprudenza  di  Strasburgo,
nonche' alle altre norme del diritto internazionale dei diritti umani
vincolanti per l'Italia che enunciano il medesimo principio, tra  cui
gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo  ai  diritti
civili e politici e 49, paragrafo 1,  CDFUE,  quest'ultimo  rilevante
nel nostro ordinamento anche ai sensi dell'art. 11 Cost. 
    Ratio della garanzia in questione e', sostanzialmente, il diritto
dell'autore del comportamento sanzionato ad essere giudicato in  base
all'apprezzamento attuale dell'ordinamento relativo al disvalore  del
fatto da lui realizzato, anziche' in base  all'apprezzamento  sotteso
alla legge in vigore al momento della sua commissione. 
    L'eventualita'  ed  il  limite  in   cui   il   principio   della
retroattivita' della lex mitior sia  applicabile  anche  alle  misure
sanzionatorie di  carattere  amministrativo  e'  questione  esaminata
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2016. 
    In tale occasione e' stato rilevato come la  giurisprudenza  CEDU
non  abbia  "mai  avuto  ad  oggetto  il   sistema   delle   sanzioni
amministrative  complessivamente  considerato,   bensi'   singole   e
specifiche discipline sanzionatorie, ed in  particolare  quelle  che,
pur qualificandosi  come  amministrative  ai  sensi  dell'ordinamento
interno, siano idonee ad acquisire  caratteristiche  "punitive"  alla
luce dell'ordinamento convenzionale". 
    Rispetto pero' a  singole  sanzioni  amministrative  che  abbiano
natura e finalita' "punitiva", il complesso  dei  principi  enucleati
dalla Corte di Strasburgo a proposito della "materia  penale"  -  ivi
compreso quello di retroattivita' della lex mitior - non  potra'  che
estendersi anche a tali sanzioni. 
    L'estensione del principio di retroattivita' della lex mitior  in
materia di sanzioni  di  carattere  amministrativo  aventi  natura  e
funzione "punitiva" e', del resto, conforme alla logica sottesa  alla
giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla  base  dell'art.  3
Cost.,  in  ordine  alle  sanzioni  propriamente  penali:   "laddove,
infatti, la  sanzione  amministrativa  abbia  natura  "punitiva",  di
regola non vi sara' ragione per continuare ad applicare nei confronti
di  costui  tale  sanzione,  qualora  il  fatto  sia  successivamente
considerato non piu' illecito; ne' per continuare  ad  applicarla  in
una  misura  considerata  ormai  eccessiva   (e   per   cio'   stesso
sproporzionata)  rispetto  al  mutato  apprezzamento  della  gravita'
dell'illecito da parte dell'ordinamento. E cio' salvo che  sussistano
ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale,
tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di ragionevolezza», al
cui metro debbono essere in linea generale  valutate  le  deroghe  al
principio di retroattivita' in mitius nella  materia  penale"  (Corte
cost. sentenza n. 63 del 2019). 
    Nel caso  di  specie,  ritiene  il  Collegio  che  il  regime  di
escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo  dall'art.
48 del d.lgs.  n.  163  del  2006  possa  integrare,  alla  luce  del
richiamato consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa,
una forma di sanzione di carattere punitivo a  carico  dell'operatore
economico  che  abbia  fornito  dichiarazioni   rimaste   poi   senza
riscontro,   sanzione   peraltro    abbandonata    dalla    normativa
sopravvenuta. 
    Non sembra revocabile  in  dubbio  che  la  misura  sanzionatoria
amministrativa prevista dall'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia
natura  punitiva  e  soggiaccia  pertanto  alle   garanzie   che   la
Costituzione ed il diritto internazionale  assicurano  alla  materia,
ivi compresa la garanzia della retroattivita' della lex mitior. 
    L'escussione della garanzia in parola, infatti, non  puo'  essere
considerata una misura meramente  ripristinatoria  dello  status  quo
ante, ne' ha natura risarcitoria (o  anche  solo  indennitaria),  ne'
mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarita'  da  parte
dell'operatore economico.  Si  tratta,  piuttosto,  di  una  sanzione
dall'elevata carica afflittiva (nel caso di specie,  all'incirca  due
milioni  di  euro),  che  in  assenza  di  una  specifica   finalita'
indennitaria (propria della sola ipotesi  di  mancata  sottoscrizione
del contratto  da  parte  dell'aggiudicatario)  o  risarcitoria,  "si
spiega soltanto in chiave di punizione dell'autore  dell'illecito  in
questione, in funzione di una finalita' di deterrenza, o  prevenzione
generale negativa, che e' certamente comune anche alle pene in  senso
stretto" (Corte cost., n. 63 del 2019). 
    In ragione dei rilievi che precedono dovrebbe  quindi  concludere
per l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che precludono
l'applicabilita', al caso di specie, della piu' favorevole disciplina
sanzionatoria sopravvenuta -  la  quale  prevede  l'escussione  della
cauzione provvisoria solo a valle dell'aggiudicazione (definitiva) e,
dunque, solo nei confronti dell'aggiudicatario di  una  procedura  ad
evidenza  pubblica  -  in  quanto   gia'   in   vigore   al   momento
dell'adozione, da  parte  di  Consip  s.p.a.,  del  provvedimento  di
escussione della garanzia provvisoria. 
    Pertanto,  poiche'  la  presente  controversia  non  puo'  essere
definita  indipendentemente   dalla   risoluzione   delle   delineate
questioni di legittimita'  costituzionale,  ostando  ad  una  diretta
applicazione giudiziale dello ius superveniens la previsione espressa
di cui all'art. 216 del d.lgs. n. 50 del 2016, il giudizio va sospeso
e vanno rimesse alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. I della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 l. 11 marzo
1953, n. 87, le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
93, comma 6, del d.lgs.  n.  50  del  2016,  nel  combinato  disposto
dell'art. 216 del medesimo decreto, per contrasto con agli artt. 3  e
117 Cost.